Io vagabondo, storia e significato

By Canzoni d'autore
Io Vagabondo

Io vagabondo è la canzone pubblicata nel 1972 da I Nomadi, considerata un classico della storia della discografia italiana, riadattata e ricantata da numerosi artisti nel corso degli anni. Nello stesso anno, i Nomadi presentarono il brano durante l’edizione di Un disco per l’estate del 1972, che si classificò al tredicesimo posto.

Storia

Scritto da Alberto Salerno, il brano Io vagabondo viene pubblicato in un’era particolarmente importante per la storia d’Italia. In questo periodo i giovani “sessantottini” si ribellavano alle ingiustizie della società e la canzone dei Nomadi era considerata come un vero e proprio inno alla libertà, non solo dalla società, ma anche dalle proprie radici di terra e famiglia. I giovani di quel periodo, infatti, avevano tutti la comune aspirazione di diventare indipendenti, anche senza godere di aiuti economici. Estremamente forte era il desiderio di staccarsi dal focolare familiare e percorrere un viaggio che aveva il comune scopo dell’emancipazione personale, cercando di sfuggire dall’ombra della disoccupazione che attanagliava tutti i giovani di quell’epoca e che, come specificato nella canzone, cercavano di trasformarsi da bambini ad adulti.
Questa canzone è diventata talmente celebre da ispirare diverse cover, tra cui quella di Gianna Nannini e Timoria che ne hanno parzialmente modificato il testo nella parte “Ma lassù mi è rimasto Dio” in “E nemmeno mi è rimasto Dio” e quella di Fiorello che decise di incidere il brano nel suo album “Finalmente tu” del 1995.

Significato di Io vagabondo

Nei versi di questa canzone sono indicati tutti i punti salienti che hanno caratterizzato gran parte della discografia dei Nomadi, ma anche della generazione di cui hanno fatto parte. Andare via dalla famiglia, rappresentati nel brano dalle espressioni “casa mia”, “camino” e “cortile”, rendersi indipendenti senza avere una lira in tasca, ripudiando quindi la dipendenza dal Dio denaro, contrapposto, invece, da un Dio spirituale a cui ci si affidava nella speranza di essere accompagnati in un nuovo percorso di vita adulta.

Il desiderio di crescere, infatti, è chiaramente esposto nella ricerca di “quel bambino che giocava in un cortile”, chiedendosi, quasi con malinconia, dove fosse finito. Questa parte del brano, dunque, contrappone l’aspirazione legata al futuro alla nostalgia dei tempi passati, costellati da giochi e spensieratezza. Anni che non torneranno più perché, ormai, si viveva nella consapevolezza che gli anni dell’infanzia non sarebbero mai potuti ritornare, così come quell’epoca fatta di quiete e sicurezza.
Questa speranza è sempre stata presente in tutti gli anni ’70, ma brutalmente interrotta con gli anni di piombo.

Io Vagabondo Testo

Io un giorno crescerò
e nel cielo della vita volerò.
Ma un bimbo che ne sa
sempre azzurra non
può essere l'età

Poi, una notte di settembre
mi svegliai, il vento sulla
pelle, sul mio corpo il
chiarore delle stelle;
chissà dov'era casa mia
e quel bambino che
giocava in un cortile

Io, vagabondo che son io,
vagabondo che non sono altro
soldi in tasca non ne ho,
ma lassù mi è rimasto Dio.

Sì, la strada è ancora là
un deserto mi sembrava la città.
Ma un bimbo che ne sa sempre
azzurra non può essere l'età.

Poi, una notte di settembre
me ne andai, il fuoco
di un camino, non è caldo
come il sole del mattino,
chissà dov'era casa mia
e quel bambino che
giocava in un cortile

Io, vagabondo che son io,
vagabondo che non sono altro
soldi in tasca non ne ho,
ma lassù mi è rimasto Dio.

vagabondo che son io,
vagabondo che non sono altro
soldi in tasca non ne ho,
ma lassù mi è rimasto Dio