Lo scandalo dei finti sold out, emerso solo negli ultimi tempi, potrebbe cambiare tutto il meccanismo dei concerti e non solo.
Lo scandalo dei finti concerti sold out, emerso negli ultimi tempi, ha scoperchiato il vado di Pandora, mostrando al mondo intero uno dei mali della musica, uno strozzinaggio che arreca gravissimi danni al settore, agli artisti e ovviamente al pubblico. Ormai abbiamo capito tutti come funzionano i finti sold out, anche perché diversi artisti ne hanno parlato.
Gente manovrata dalle etichette discografiche, mandata allo sbaraglio come burattini, con tre canzoni di repertorio sulle spalle e pochi mesi di carriera, chiamata a riempire arene contenenti migliaia di spettatori. Ma gli spettatori non ci sono, ci sono solo le finte pubblicità nelle quali si sbandiera il presunto sold out, con biglietti in vendita a più di 50 euro, tanto per alimentare l’immagine di successo dell’artista. Ma è solo apparenza, dentro non c’è nulla, è solo una facciata.
In questo malefico meccanismo, gli artisti vengono manovrati, spremuti, poi abbandonati. Sono prodotti da usare, musicisti che non hanno pubblico effettivo, perché le visualizzazioni non contano. Milioni di ascolti sulle piattaforme streaming non equivalgono all’acquisto del disco fisico. Milioni di ascolti su Spotify e YouTube non significa essere fan, non significa essere pubblico.
La musica oggi è passatempo, distrazione, un sottofondo costituito da una playlist composta da milioni di canzoni che vanno di moda. Roba che si ascolta velocemente, a ripetizione, per qualche mese, e che poi si dimentica, per passare a comporre un’altra playlist. Gran parte degli artisti rientra nella playlist del momento con una sola canzone, ma il pubblico vero non c’è, e ai concerti non si presenta nessuno.
Biglietti che costano 50/70 euro, un’enormità, scoraggiano il pubblico, specie se l’artista è appena uscito da un talent show e ha mezza canzone in repertorio. E così, dopo lo sbandierato sold out, irreale, non vero, impossibile, ecco che i biglietti dopo qualche giorno scendono a 10 euro, prezzo stracciato, pur di portare gente al concerto e riempire migliaia di posti rimasti vuoti.
Il successo in streaming non conta nulla, milioni di ascolti su Spotify contano quanto qualche decina di copie venduta in CD o in vinile, praticamente zero. Non a caso oggi i Dischi d’oro si regalano: se un tempo dovevi vendere centinaia di migliaia di copie, o milioni di copie, per ottenerne uno, adesso abbiamo centinaia di artisti che collezionano Dischi d’oro senza aver venduto neanche una copia fisica.
È il collasso dell’industria musicale, massacrata dallo streaming, massacrata dai promoter che lucrano sugli artisti. Con lo streaming, ossia la musica liquida, nessuno ci campa, proprio perché, come accennato, milioni di visualizzazioni non valgono nulla a livello di introiti, a meno che non si raggiungano ascolti record a livello mondiale, cosa molto difficile.
Oggi si guadagna in altro modo, con gli sponsor, con continui concerti, i tour massacranti, con trovate pubblicitarie e con il gossip, ma non con la musica. La musica oggi è in secondo piano, le canzoni non contano, e ciò è un paradosso. Lo stadio sold out è un simbolo, una pubblicità enorme e che attira nuovi sponsor, ma prima o poi il castello di carta collassa.
Andrebbe rifondato l’intero sistema, andrebbe data dignità alla musica e agli artisti veri, la gente dovrebbe tornare a comprare dischi e a seguire chi ha davvero qualcosa da dire. Andrebbero boicottate certe piattaforme streaming, andrebbero boicottati certi eventi dai costi proibivi. Occorrerebbe fare qualche passo indietro e arrivare agli stadi dopo tanta gavetta, un pubblico vero acquisito nel tempo, un repertorio di canzoni consistente.
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